La nostra bella Italia è rinomata nel mondo per la sua cucina. La cucina italiana, però, abbraccia in sé tante cucine regionali, come la romana (o romanesca). Ecco, è una delle più saporite, autentiche e veraci della nostra penisola: di origine contadina, molti dei piatti sono stati tramandati da generazione in generazione, fino a giungere a noi. Pensiamo alla porchetta di Ariccia, un grande classico (chi non ha mai mangiato un panino con la porchetta, una volta a Roma?) o la tanto blasonata carbonara, che è il piatto simbolo della città. Forse. Perché ce ne sono molti altri: ve li raccontiamo.
Non possiamo che iniziare dalla carbonara, appena citata: simbolo della cucina italiana all’estero, è tra i piatti che più di tutti è stato rivisitato nel corso del tempo. Per fortuna, o purtroppo? Ai romani l’ardua sentenza, considerando che c’è chi mette la panna, chi la cipolla, chi non segue la ricetta originale… secondo la leggenda, il piatto è stato ideato dai soldati americani, che mischiavano uova, bacon e cacio. Ma le teorie sono tante, e di ricetta tradizionale e autentica ce n’è solo una: tuorlo d’uovo, pecorino, guanciale, pepe nero macinato fresco. Una magia.
L’antenata della matriciana? Sì, è proprio la gricia, secondo la tradizione. Non è conosciuta al pari della carbonara nel resto del mondo, ma è buonissima, a dir poco: viene servita con i rigatoni, oppure con i tonnarelli. Gli ingredienti? Guanciale, pecorino romano, pepe. In breve, è una cacio e pepe a cui viene aggiunto il guanciale croccante, e il risultato è fenomenale.
Abbiamo definito la cucina romana come “contadina, verace”, ed è proprio così, perché la coda alla vaccinara rientra nella tradizione culinaria romana più povera. Questo piatto si caratterizza per la cottura della coda di bovino – solitamente bue – che viene poi condita con diverse verdure.
Siamo di fronte a uno dei prodotti tipici più amati del Lazio: è famoso anche all’estero, ed è naturalmente il protagonista delle sagre e delle feste di paese. Questa specialità gastronomica è rivendicata dagli abitanti di Ariccia, che si trova nel Lazio. Per comprendere la storia, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, all’epoca della nobiltà romana: secondo le leggende, l’imperatore Nerone non poteva fare a meno di mangiare la porchetta, tanto che era il suo piatto del cuore. Secondo il New York Times, la porchetta rientra di diritto tra i cinque cibi più buoni al mondo. E come dar loro torto?
Tra i secondi piatti della tradizione romana troviamo anche l’abbacchio, che si caratterizza per la carne super tenera, ma non solo: il segreto è nella salsa, realizzata a base di acciughe, aglio, rosmarino, aceto ed erbe aromatiche. Viene preparato tradizionalmente a Pasqua, e l’abbacchio nello specifico è l’agnello da latte o svezzato comunque da poco. Il sapore è particolare, ma indubbiamente unico, senza considerare che si scioglie quasi in bocca.
Il carciofo romanesco è tra i prodotti tipici più amati dai romani (e dai turisti). Ecco, per chi va a Roma, è d’obbligo iniziare il proprio pasto con un bel piatto di carciofi alla giudia, della cucina ebraico-romanesca. La frittura di carciofi è particolarmente croccante, e la varietà del carciofo romanesco, coltivata tra Ladispoli e Civitavecchia, è unica: non presenta infatti spine.
Surprise, o dovremmo dire supplì? No, non è un arancino (o arancina, per non ferire l’orgoglio di nessun siciliano!), ma è un supplì, una crocchetta di forma allungata cilindrica che viene comunemente preparata con il riso. Il nome rimanda al termine en surprise della lingua francese: il vero supplì è rigorosamente “al telefono”, dal momento in cui, spaccandolo a metà, dovrebbe presentare un cuore filante di mozzarella. Secondo la ricetta più antica, si prepara con riso da risotto, sugo di carne o sugo finto, parmigiano reggiano, uova crude e dadini di provatura, oltre che funghi secchi e rigaglie di pollo o carne macinata. Al giorno d’oggi ne esistono tante varianti, come alla carbonara o con crema cacio e pepe.